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“Misericordia io voglio e non sacrifici”

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di Carlo Ghidelli – Arcivescovo emerito di Lanciano-Ortona.

” Misericordia io voglio e non sacrifici/ la conoscenza di Dio più degli olocausti” (Os 6, 6).

Sono parole che leggiamo nel libro del profeta Osea e sono messe in bocca a Dio. Ogni parola di Dio reca luce e conforto a tutti noi, ma questa ci stimola anche a riflettere se e come noi stiamo cercando di imitare Dio nella sua chiara volontà di avere un popolo che lo onora non tanto a parole e con vari doni, ma soprattutto con il suo comportamento misericordioso verso il prossimo. Il fatto che “misericordia” sia in parallelismo con “conoscenza di Dio” ci dice che la misericordia che ci scambiamo tra di noi è dono di Dio e frutto del nostro amore verso di Lui.

In alcuni luoghi paralleli il profeta Osea dirà che il solo sacrificio gradito a Dio è la conversione sincera: conversione a Dio e, di conseguenza, conversione al prossimo. La vera conversione, pertanto, non può consistere solo in gesti nei confronti di Dio, ma deve esprimersi e incarnarsi anche in gesti di attenzione e di soccorso al prossimo. A Dio, secondo l’insegnamento dei profeti, ci si converte con sinceri atti di culto ma soprattutto con atti di misericordia.

Da parte sua l’evangelista Giovanni nella sua prima lettera scrive che è bugiardo colui che dice di amare Dio che non vede, mentre non ama, cioè non aiuta, non soccorre il fratello che vede: “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il suo fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio? Figlioli, non amiamo a parole o con lingua, ma nei fatti e nella Verità” (3, 17-18).

Papa Francesco, da anni ormai, ci sta invitando a coltivare la misericordia non con gesti provvisori e saltuari, ma con ogni fibra del nostro essere, soprattutto con l’esercizio delle opere di misericordia, sia corporali sia spirituali. Non possiamo sottrarci a questo invito pressante e caloroso. Ecco quello che egli scrive al n. 12 della sua Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia: “La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio, che a tutti va incontro senza escludere nessuno”.

Se è vero che fin dall’inizio del suo ministero petrino papa Francesco va predicando la divina misericordia, ultimamente va ripetendo sempre di più l’importanza di questo messaggio evangelico, nel desiderio di attrarre tutti, ma specialmente i peccatori, nel flusso della divina misericordia. E’ straordinariamente prezioso il dono che il Signore ha fatto e sta facendo alla sua Chiesa nella persona di papa Francesco: egli ci sta conducendo passo dopo passo alle sorgenti purissime del Vangelo di nostro Signore.
Se è vero che Gesù ci presenta il volto misericordioso del Padre è altrettanto vero che Papa Francesco è il profeta convinto e credibile di questa verità basilare della nostra fede. La divina misericordia è come una sorgente sempre viva e inesauribile alla quale possiamo attingere acqua fresca ogni volta che ne sentiamo bisogno.

Tornando alla profezia di Osea, che è estremamente importante per il tema che stiamo sviluppando, dobbiamo ricordare che essa viene citata due volte nel vangelo secondo Matteo.

La prima volta al capitolo nono, quando l’evangelista racconta del suo primo incontro con Gesù. Vi si legge: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate e imparate che cosa vuol die: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (9, 12-13). Lo sguardo di Gesù si è fermato su colui che diventerà suo apostolo ed evangelista e lo sguardo di Matteo si incrocia con lo sguardo di Gesù. Da questo incontro nasce una creatura nuova: la profezia di Osea si realizza in pienezza. Matteo cambia vita perché in lui ha vinto la misericordia di Dio, rivelatasi attraverso la persona e l’azione di Gesù. Parimenti anche noi dovremmo rileggere la nostra vocazione cristiana non come un privilegio da conservare gelosamente, quanto piuttosto come una chiamata al servizio: non un servizio generico ma mirato alle necessità degli altri.

La seconda volta incontriamo questa profezia nel capitolo dodicesimo del primo vangelo, là dove si legge: “Se aveste compreso che cosa significhi Misericordia io voglio e non sacrifici non avreste condannato persone senza colpa”(12, 7). Il contesto stavolta è polemico: Gesù sta contestando ai farisei la loro pretesa di difendere il sabato a fronte di un’opera di carità. Gesù non può sopportare questo fariseismo e afferma con estrema chiarezza non solo il senso della sua missione, ma anche il dovere di anteporre ad ogni norma legale il sacrosanto dovere di soccorrere un prossimo anche in giorno di sabato.
Parimenti anche noi non possiamo sottrarci alle opere di misericordia (sarebbe opportuno ripassarle perché nelle loro semplice formulazione ci presentano un vero e autentico programma di vita) con la scusa di altri doveri, fossero pure sacri, ai quali vogliamo essere fedeli. “Misericordia io voglio e non sacrifici”.